Vino e Gourmet
A tavola con i sapori della tradizione contadina... Se il cibo è lo specchio di una civiltà, i tanti volti dell’Umbria sono tutti ben rappresentati dalle specialità culinarie di cui è ricca questa regione. Partendo dal capoluogo, il viaggio attraverso le ghiottonerie della cucina umbra procede alla rovescia, ossia dal dolce: Perugia è infatti celebre nel mondo per aver creato il prodotto più “recente” dell’arte culinaria regionale, il Bacio Perugina, inventato nel 1922 utilizzando con genialità lavorazioni tradizionali. La cucina umbra non disdegna infatti arditi accostamenti tra il cacao e altri ingredienti, per esempio gli spaghetti o il liquore nelle preparazioni casalinghe.
Di ben più antica tradizione, l’uso del prezioso tartufo: bianco nella val Tiberina, a Orvieto, a Gubbio e nell’Eugubino-Gualdese; nero a Norcia e a Spoleto.
Nella stessa Norcia, la lavorazione della carne di maiale è sempre stata un’arte, tanto che proprio famiglie di valenti “norcini” dettero vita alla celebre scuola chirurgica di Preci, rinomata in tutta Europa tra Cinquecento e Settecento.
Il maiale è, nell’Umbria contadina, la carne per eccellenza, accanto alla quale trionfano piccioni, oche, anatre, pecore e agnelli, e la ricca selvaggina tra cui le prelibate palombacce. Saporiti salumi da mangiare con il pane sciapo si assaporano ovunque, mentre alla Valnerina spetta il primato di un prosciutto stagionato ancora preparato a mano.
Nelle montagne del Nursino, puntarelle e salsicce sono cucinate con le lenticchie di Castelluccio, le più pregiate d’Italia, tanto tenere da non dover essere messe a mollo prima della cottura e coltivate senza ricorrere ad alcun antiparassitario.
Prodotti tipici di Colfiorito sono invece le patate rosse, ideali per gli gnocchi, e le ormai rare cicerchie o cecere: un legume “povero” che, sul Trasimeno, veniva un tempo cucinato con le cotiche.
Occorre risalire a molti millenni fa per trovare le origini del farro, preparato in minestra con l’osso di prosciutto in tutta l’Umbria: è di qualità speciale quello di Monteleone di Spoleto, coltivato con metodi rigorosamente biologici e tradizionalmente cucinato non in chicchi ma frantumato con un’apposita macina di pietra.